Alla Galleria Borghese è esposto uno dei gruppi scultorei più belli del Bernini, che il genio del Barocco realizzò attorno al 1622. Sto parlando del suo "Apollo e Dafne", una statua semplicemente unica nella sua ricerca dei dettagli, nel suo naturalismo, nella sua raffinatezza, nei suoi molteplici punti di vista. Inoltre è l'opera berniniana presente alla Galleria Borghese che maggiormente preferisco!
Ma oggi, più che sull’estetica e sullo stile, vorrei soffermarmi sul mito! Ebbene sì, perché spesso non si pensa a quanto la mitologia greco-romana, come in questo caso, abbia dato molto alla storia dell’arte e agli artisti che, a più riprese e secondo il loro stile personale, si lasciarono ispirare da storie che nel passato erano ben conosciute. Ed ora parliamo della vicenda che vede protagonisti Apollo e Dafne. Lui Dio del Sole e delle Arti, preveggente e che tutto vede, mentre lei era una ninfa figlia di Peneo, fiume della Tessaglia che, come sovente accadeva in passato, venne personificato. Tutto comincia quando Cupido era intento ad incoccare l’arco di Apollo, un’arma che solo il proprietario, però, sapeva maneggiare. I tentativi di Cupido andarono a vuoto, e così Apollo lo prese in giro, dicendo lui:"Che cosa hai da fare con le armi, fanciullo arrogante?...Tu accontentati di suscitare con la tua fiaccola non so quali amori" (dalle Metamorfosi di Ovidio). Detto questo Cupido pensò bene di vendicarsi. Trafisse Apollo con una delle sue frecce dalla punta d’oro, che portava ad un’innamoramento repentino ed incontrollabile. Poi colpì anche Dafne, stavolta però con una freccia dalla punta di piombo, che porta Dafne a rifiutare qualunque tipo di amore. Per tale ragione anche quando una divinità bella e perfetta come Apollo tenta di corteggiare Dafne lei, spaventata e riluttante, rifiuta e fugge!
Vani furono i tentativi di Apollo che, però, ricordiamoci sempre è un Dio. Ed una ninfa non può sfuggire ad un Dio. Alla fine Apollo raggiunge Dafne ma lei, che non sa più cosa fare, trova rifugio nelle preghiere al padre Peneo, a cui chiede la salvezza. Ed improvvisamente ecco la trasformazione, la metamorfosi che porterà Dafne a trasformarsi in un albero, un alloro per l’esattezza. E’ questo il momento catturato magistralmente da Bernini, quando le mani di lei si trasformano in foglie, quando le gambe di lei diventano tronchi e cortecce. Un compendio di bellezza ed armonia, un gruppo scultoreo che, visto da tutti i punti di vista, mostra realismo, attenzione al dettaglio, grande pathos, una magnifica emotività che traspare dai volti e dai gesti dei protagonisti. Piccola curiosità finale: Ovidio stesso, nelle sue Metamorfosi, fa risalire l’utilizzo dell’alloro come simbolo di potere usato dagli antichi Romani proprio da questo episodio. Una volta trasformatasi in albero Apollo, ancora innamorato di lei, esclama:"Poiché non puoi essere mia coniuge sarai di certo il mio albero. La mia chioma, la mia cetra, la mia faretra, o alloro, si orneranno di te. Tu incoronerai i generali lieti per la vittoria, quando un coro festante intonerà il canto del trionfo e il Campidoglio vedrà lunghi cortei. Tu medesima, come una custode fedelissima, sarai appesa alle porte della reggia di Augusto..." . Quando, insomma, un mito diventa non solo marmo, ma anche, apparentemente, un fattore culturale. Quando un episodio mitologico diventa un capolavoro, come avvenne per un'altra opera del Bernini esposta in questo straordinario museo (clicca qui).